Diritto tributario e norme violate, Approfondimento

Per saperne di piu’

Ma quali sono gli articoli violati della CEDU nella materia del diritto tributario?

– art. 6 : diritto all’equo processo, prima estromesso dalle cause tributarie

  • art. 7: principio di legalità in materia penale, che trova applicazione anche nel contesto tributario, attraverso il riconoscimento del carattere sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative-tributarie
  • art. 8: il diritto al rispetto della vita privata, sulla legittimità degli accessi dell’Amministrazione Finanziaria presso la sede del contribuente e sulla la tutela della riservatezza dei documenti e della corrispondenza in generale;

artt. 13 e 14: il diritto a un ricorso effettivo, qualora sia negato al contribuente il ricorso immediato a un giudice, e il divieto di discriminazione ;

art.1 del primo Protocollo addizionale: protezione della proprietà;

art. 4, Protocollo n.2: Ne bis in idem, non essere giudicato o punito due volte

Il processo dinanzi alla Corte EDU si può concludere ex art. 41 della CEDU con la condanna dello Stato di riparare al cittadino la lesione subita, ripristinando il suo stato precedente oppure risarcire i danni causati.

LA CARTA EUROPEA

Un ulteriore strumento di tutela dei diritti fondamentali del contribuente può essere fornito dalla c.d. Carta Europea, ossia la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nota anche come Carta di Nizza, che con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona è diventata parte integrante dei trattati europei.

Sono contemplati tre categorie di diritti, i «corrispondenti» a quelli della CEDU, i diritti «esistenti» e i diritti «emergenti», ripartendoli in sei titoli correlati ad altrettanti valori individuali ed universali: dignità, libertà,uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.

Vedete come la dimensione europea è una dimensione improntata alla tutela dei diritti umani?

L’interpretazione e l’applicazione dei diritti “corrispondenti” a quelli CEDU sono individuati dal testo della Convenzione, ma anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, cioè sono i diritti riconosciuti per analogia o evoluzione giurisprudenziale.

La Carta, come enunciato dall’art. 51 della stessa, si applica agli organi e alle istituzioni dell’Unione e per quanto attiene agli «Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze».

la Carta Europea ha la stessa efficacia e supremazia del diritto dell’UE ed il giudice nazionale, qualora rilevi un contrasto tra una nuova norma nazionale e un principio della Carta, è tenuto a DISAPPLICARE LA NORMA INTERNA DI DIRITTO INFERIORE.

In ambito tributario, le tutele della Carta è applicabile direttamente  nell’ambito dei tributi armonizzati,  IVA, dazi e accise.

Nel caso di lesioni di diritti fondamentali contemplati dalla Carta Europea, il giudice nazionale può interpellare ex art. 267 TFUE la Corte di Giustizia, affinchè valuti l’effettiva incompatibilità della norma interna rispetto al principio della Carta Europea.

Dunque la CEDU, esamina direttamente il rispetto dei diritti da parte dello Stato contraente la CGE si limita a una funzione d’interprete del Diritto dell’UE, fornendo al giudice nazionale nuovi elementi interpretativi.

Soccorrono anche le sentenze della Corte EDU, che valuta la violazione dei diritti e la conseguente riparazione da parte dello Stato.

L’art. 6 CEDU può applicarsi ai giudizi tributari?

Dall’esame della CEDU si evince che le disposizioni che contemplano i rapporti fiscali tra lo Stato e i cittadini contribuenti sono contenute nell’art.1 del Primo Protocollo Addizionale che protegge la proprietà privata.

al secondo paragrafo, si enuncia  che il riconoscimento della tutela della proprietà privata non pregiudicherebbe il diritto degli Stati di emanare le leggi necessarie al fini dei propri interessi generali relativi alla c.d. Spesa pubblica.

Tuttavia la Giurisprudenza si è evoluta ed ha dichiarato che le norme che impongono una tassazione, devono essere valutate alla luce del diritto di proprietà ed in più devono rispettare le limitazioni imposte nella seconda parte dell’art.1 di suddetto Protocollo per il quale  l’imposizione fiscale costituisce un’ingerenza nel diritto garantito dall’art. 1 del Protocollo 1, perché priva la persona di un elemento di proprietà, ossia l’importo da pagare.

La stessa Corte EDU nella sentenza del 16 giugno 2010, Di Belmonte c. Italia, sottolinea che la materia fiscale non sfugge peraltro al controllo della Corte e fornisce tre parametri  per la corretta applicazione di predetto articolo: tali ingerenze devono avere una base legale, perseguire uno scopo legittimo ed essere proporzionate agli scopi perseguiti.

L’orientamento consolidato della sentenza Ferrazzini ha subito un’importante deroga con la sentenza del 23 novembre 2006, Jussila c. Filandia, con cui la Corte di Strasburgo ha affermato che una sanzione, pur non essendo qualificata come penale, avendo carattere afflittivo e deterrente, deve rispettare il principio del “giusto processo” statuito nell’art.6 CEDU e, in particolare, nel caso di specie, l’obbligo della pubblica udienza.

L’ ART.6 CEDU inoltre pone dei reali  dubbi sull’indipendenza e imparzialità del giudice tributario.

La cosa che preoccupa non  è che il giudice tributario non sia un giudice professionale, quanto la potenziale incompatibilità tra l’esercizio della funzione giurisdizionale e l’esercizio della sua professione, rispetto alle quali  è recentemente intervenuta una modificazione dell’art. 8 del D.lgs. n. 545 del 1992. Ciò è in evidente contrasto con il canone d’indipendenza di cui all’art. 6 CEDU: il personale amministrativo che svolge un’attività di supporto al giudice tributario appare essere “nelle mani” del soggetto autore degli atti oggetto di giudizio.

Inoltre il rapporto tra Direzione della Giustizia tributaria e i giudici tributari è in evidente contrasto con la necessaria apparenza d’indipendenza del giudice tributario.

Un ulteriore elemento che mette in dubbio l’indipendenza del giudice tributario, è il fatto che la gestione e la programmazione della spesa delle Commissioni è affidata a organismi del Ministero delle Finanze.

La Corte EDU ha già condannato un altro Stato nel quale era il Ministero a determinare uno stanziamento, a monte, delle somme per la retribuzione dei giudici tributari.

Sotto il profilo finanziario, poi, la gestione e programmazione della spesa delle Commissioni è affidata a organismi del Ministero delle Finanze. In ultimo, non risulta compatibile con la CEDU il trattamento economico esiguo previsto per giudici tributari, inadeguato alla complessità dei compiti attribuiti e agli standards di un giudice moderno europeo.

La Commissione tributaria di Reggio Emilia, con ordinanza n.280/2014, ha chiamato la Corte Costituzionale a esprimersi sulla costituzionalità di un numeroso gruppo di disposizioni:

– gli artt. 2, 15, 31, 32, 33, 34 e 35 del D.lgs n. 545 del 1992, nella parte in cui, prevedendo l’inquadramento degli uffici di segreteria delle commissioni tributarie nell’amministrazione finanziaria, affiderebbero la disponibilità dei mezzi personali per l’esercizio della giurisdizione tributaria alla stessa amministrazione cui appartengono le autorità che emanano gli atti sottoposti al controllo giurisdizionale, anziché al giudice tributario;

– il giudice a quo censura, altresì, gli artt. 2, 29 bis, 31 e 35 del D.lgs. n. 545 del 1992 nella parte in cui attribuirebbero la gestione dei mezzi materiali necessari per l’esercizio della giurisdizione tributaria alla stessa autorità che emette gli atti da sottoporre al controllo giurisdizionale, anziché prevedere un’autonoma gestione finanziaria e contabile delle Commissioni tributarie;

– secondo il rimettente un ulteriore vulnus all’apparente indipendenza dei giudici tributari deriverebbe dall’art. 13 del D.lgs. n. 545 del 1992, in tema di trattamento retributivo degli stessi giudici, nella parte in cui la norma stabilirebbe che la determinazione, la liquidazione e il pagamento del compenso spettante ai componenti delle commissioni tributarie siano effettuati dalla stessa amministrazione cui appartengono anche gli organi che emettono gli atti sottoposti al controllo giurisdizionale;

– anche gli artt. 6 del D.lgs. n. 546 del 1992 e 51 cod. proc. civ. contrasterebbero con l’art. 6 CEDU nella parte in cui, accanto alla possibilità di astensione individuale del giudice per motivi “personali”, non prevedono un rimedio processuale che consenta ai giudici tributari di astenersi per difetto di apparenza di indipendenza causato da ragioni ordinamentali, al fine di evitare l’adozione di decisioni nulle per un vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell’art. 158 cod. proc. civ., o che siano comunque fonte di responsabilità dello Stato per violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Ma pare che al momento la Consulta abbia rigettato la questione di legittimità

Altro principio cardine è il principio del contraddittorio nel rito tributario

La nozione di contraddittorio endoprocedimentale è equivalente a quella di contraddittorio giurisdizionale: prima dell’emanazione di un provvedimento, il soggetto che subirà gli effetti di quest’ultimo deve avere la possibilità d’interloquire con la PA, manifestando il suo punto di vista sulla base dei dati raccolti.

Ebbene, il soggetto destinatario del provvedimento completo deve essere informato in maniera trasparente su cosa e perché si sta per decidere nei propri confronti, dandogli la possibilità di opporre proprie argomentazioni e prove, con la certezza che queste sue allegazioni saranno adeguatamente valutate dall’organo incaricato di provvedere in merito.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE “il rispetto del diritto di difesa costituisce un principio fondamentale del diritto della Unione di cui il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante”

La Corte riconosce che il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento è attualmente sancito, non solo negli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, ma anche nell’articolo 41 di quest’ultima, il quale assicura il diritto ad una buona amministrazione. Il paragrafo 2 del citato articolo 41 prevede che il diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo ad essere ascoltato, prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo.

Nell’ordinamento italiano il contraddittorio è espressamente previsto dall’art 111 della Costituzione solo nei procedimenti giurisdizionali.

Tuttavia, secondo la Corte Costituzionale, il contraddittorio, pur non essendo espressamente previsto dalla Costituzione, è un diritto imposto nel procedimenti amministrativi con valenza sanzionatoria, e in generale in tutti i procedimenti amministrativi, dal principio costituzionale del giusto procedimento di cui all’ 96 della Costituzione  ( Corte cost., 11 dicembre 1995, n 505; Corte cost., 28 novembre 2008 n. 390) .

Tale orientamento è stato avvallato, altresì, con riconoscimento da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass .civ. Sez. Un. 18 settembre 2014, n.19667 e 19668)  nel suo primo orientamento in materia, convenendo che il contraddittorio endoprocedimentale è attuazione del principio generale emergente dalla Legge N. 241 del 1990,  il cui art. 7 impone l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti.

Quest’ultima previsione normativa è espressione del principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione che, sancito dall’ art 97 della Costituzione  affermato dalle Sezioni Unite, trova piena corrispondenza nell’impianto complessivo dello Statuto del Contribuente; da tale compendio normativo emerge che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata”, mediante la promozione del contraddittorio tra amministrazione e contribuente anche nella fase precontenziosa e il  suo ordinato sviluppo funzionale del rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contradditorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima della relativa emanazione, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, tutelato dall’ art. 24 della Costituzione , e il buon andamento dell’amministrazione ex art. 97 della Costituzione

Ma quando e dove si applica il contraddittorio.

Secondo la Corte di Giustizia, il diritto al contraddittorio è norma generale senza bisogno di specifiche prescrizioni di settore: «tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità».

In secondo luogo, si evidenzia che poiché la giurisprudenza comunitaria e convenzionale hanno ampliato l’area delle sanzioni amministrative, ritenendole a causa dell’afflittività equivalenti a quelle penali, si dovrebbe applicare il principio del contraddittorio secondo i principi fondamentali.

Principio di effettività del contraddittorio.

Il contraddittorio, principio garantito sia dall’ordinamento europeo che dalla Costituzione, viene attuato dal legislatore con diverse norme tributarie, in particolare attraverso il comma 7 ed ultimo comma dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente. Mentre l’art. 6, al comma 5 dello Statuto del Contribuente, realizza il principio generale del contraddittorio nell’ordinamento tributario, previsto dagli articoli 23 e 97 della Costituzione.

Ci sono, ancora, altre norme che prevedono la necessità del contradditorio, a pena della nullità dell’atto e cioè quelle riguardanti gli accertamenti basati sugli studi di settore, sulla c.d. “clausola antielusiva”, sul disconoscimento dei costi black lists e, da ultimo, sul “redditometro”.

La giurisprudenza italiana non ha avuto un orientamento uniforme per quanto riguarda il contraddittorio endoprocedimentale. Ma questo è assurdo ed in contrasto con tutte le norme fondamentali. Infatti una giurisprudenza di leggittimità illuminata  ha  recepito l’influenza della sentenza della CGCE del 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropè, che ha valutato il contraddittorio come un diritto fondamentale, sulla base delle norme direttamente applicabili della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, secondo l’interpretazione compiuta dalla Corte di Giustizia. Precisamente, detta sentenza sottolinea che la disciplina di attuazione del contraddittorio implica che al contribuente sia dato: a) congruo preavviso per preparare le sue difese; b) congruo tempo e spazio per esporle; c) congruo ascolto;

d) congruo conto della valutazione di esse e delle ragioni per le quali esse sono state, semmai, disattese.

Il giudizio di congruità deve essere realizzato tenendo conto delle caratteristiche del caso concreto,

La giurisprudenza di legittimità, concorde con quella comunitaria, ha sostenuto che l’attività istruttoria amministrativa deve essere «completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, d’intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, di vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore» (Cassazione, sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17229)

Sanzioni tributarie: natura giuridica e principio del nel bis in idem. Recente tesi del doppio binario sanzionatorio.

Di sovente, la giurisprudenza interna e sovranazionale assumono posizionidifferenti in termini di sanzione penale o amministrativa.

La Corte EDU, infatti, nell’interpretazione e nell’applicazione dei fondamentali principi di legalità, irretroattività e colpevolezza, ha elaborato una propria nozione di reato e di pena stabilendo che tali concetti non devono essere ripresi in maniera automatica dagli ordinamenti nazionali.

Per tale ragione, con l’affermarsi di tale concezione autonomistica, al fine di stabilire se una misura

debba essere considerata come pena o come sanzione amministrativa per la Convenzione, non si può prescindere da una valutazione fornita dalla stessa Corte di Strasburgo, che deve avvenire in via autonoma rispetto alla valutazione del giudice interno.

A tal proposito, assumono particolare importanza i cc.dd. “criteri Engel”enucleati dalla Corte Europea al fine di pronunciarsi sulla qualificazione penale o amministrativa di una

Nell’ordinamento internazionale ed europeo, il principio del ne bis in idem trova oggi copertura legislativa nell’art. 4 del Protocollo aggiunto alla CEDU n. 7, nell’art. 50 della Carta di Nizza e nella giurisprudenza convenzionale

Nella sentenza 4 marzo 2014, resa nel caso Grande Stevens c. Italia, la Corte di Strasburgo ha negato che il medesimo fatto possa essere sanzionato due volte, prima nel procedimento amministrativo in materia di abuso di mercato, caratterizzato da una pena tanto afflittiva da essere ricompresa nella materia penale secondo i criteri di Engel, poi nel procedimento penale sorto sugli stessi fatti.

ne bis in idem, di cui all’art. 4 del Protocollo n.7.

l recente orientamento della giurisprudenza convenzionale è, altresì, stato avvallato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 9184/2017 in cui, dopo aver qualificato come penale in senso sostanziale la sanzione disciplinare penitenziaria dell’isolamento diurno per cinque giorni e analizzato la sentenza della Corte EDU, A. e B. c. Norvegia, ha escluso la ritenuta violazione dell’art. 649 c.p.c. e ha considerato come principio consolidato quello generato nella predetta sentenza e non il principio affermato nella sentenza Grande Stevens.

5. Azioni giudiziali esperibili dal difensore tributario in caso di violazione di un diritto fondamentale.

Nel caso di violazione di un diritto fondamentale è possibile esperire un’azione giudiziale differente a seconda del tipo di violazione:

a) se questa è contestata relativamente all’accertamento di un tributo armonizzato, si può chiedere al giudice interno la disapplicazione della norma contrastante con la Carta Europea; in subordine, qualora ci sia incertezza su ciò, il difensore può richiedere al giudice di sospendere il processo e d’inviare gli atti alla CGE affinchè verifichi l’effettiva incompatibilità della norma italiana con quanto disposto dalla Carta Europea;

b) se la violazione riguarda l’accertamento di tributi non armonizzati, occorre chiedere al giudice nazionale d’interpretare in senso convenzionalmente orientato la norma interna; in via gradatamente subordinata, sarebbe conveniente richiedere al giudice di sollevare questione d’illegittimità costituzionale, per contrasto della norma dell’ordinamento interno e l’articolo della CEDU violato, che rappresenta una norma costituzionalmente interposta.

  • se le istanze di cui sopra non avranno condotto a un riscontro positivo, al cittadino rimane la possibilità di ricorrere direttamente alla Corte EDU per una richiesta risarcitoria, ma solo qualora siano stati esperiti tutti i gradi di giudizio e non si versi nell’ipotesi di ricorso per saltum.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *